I CINQUE PONTI

EMOZIONE

Il quaderno

Forlì 1956

”photo”

   Accompagnato dalla mamma, vestito con un grembiulino nero, il colletto bianco e un fiocchetto azzurro, aspettavo fuori dall’aula in attesa di essere chiamato.
  Era il primo giorno di scuola. Un bambino, prima di me, strillava e non voleva entrare. La sua mamma cercava tutti gli argomenti pur di convincerlo, ma nulla, non c’era verso, non si staccava da lei. Entrò tenendo stretta la mano della sua mamma, si sedette nel banco, si guardò attorno e solo allora si tranquillizzò. Venne il mio turno: la mamma mi salutò lasciandomi la mano e il bidello mi accompagnò nel secondo banco della terza fila, vicino a una grande finestra. Mi sedetti: attorno a me, quelli che sarebbero diventati i miei compagni di classe. Non conoscevo nessuno.
  Silenzio assoluto, il bidello era stato categorico. Eravamo in trentadue.
  Quando tutti i posti furono occupati, entrò la maestra. Era giovane, con un bel sorriso e la voce calma, serena. Aveva i capelli scuri, corti, con una frangia che, ad ogni passo, le saltellava sulla fronte. Da subito provai simpatia per lei. Passò tra i banchi e consegnò ad ognuno di noi una matita e un quaderno a quadretti grandi.
  Dopo averci salutato ed essersi presentata, ci fece aprire il quaderno e con la matita appuntita ci fece tracciare delle righe orizzontali e verticali in corrispondenza di ognuno dei quattro lati di ogni quadretto. Camminava su e giù per la classe e ogni volta che si avvicinava, sorrideva e osservava.
Guardava incuriosita, non diceva nulla e andava oltre. Mi sentivo a mio agio e ascoltavo con piacere la sua voce. Le sue parole e il suo sguardo mi tranquillizzavano.
  In classe, il tempo trascorreva disegnando e imparando a scrivere le prime lettere e le prime parole. La lavagna, montata su un cavalletto di legno, da un lato aveva i quadretti e dall’altro no. Con il gesso, la maestra componeva il disegno seguendo i quadretti, così per noi era più facile copiarlo. La scrittura delle lettere e delle parole andava di pari passo. Lei scriveva e noi copiavamo. Era un gioco, ma non durò a lungo.
  Un lunedì del secondo mese di scuola, entrando in aula, trovammo un’altra maestra. Si presentò e ci disse che lei era la nostra vera insegnante, che quella di prima era solo una supplente e che da quel momento in avanti si sarebbe fatto sul serio. Si sedette in cattedra, ci fece aprire il quaderno e dettò la prima parola, ma si fermò subito.
  Si alzò, venne verso di me, mi strappò la matita e me la sistemò nell’altra mano, la destra. «Questa è la mano giusta per scrivere» disse.
  I compagni sogghignavano non per via della mano sbagliata, ma perché ero diventato rosso come un peperone. Il contatto con le sue mani mi aveva stravolto: erano gelide.
  La mattina seguente vidi l’insegnante parlare con la mia mamma e il risultato fu che per dieci giorni dovetti portare il braccio sinistro appeso al collo con una fascia, così da essere obbligato a scrivere con la destra. Neanche a casa potevo toglierla. Quando accompagnavo la mia mamma al negozietto a far compere, a chi avesse chiesto il perché della fascia, avrei dovuto rispondere che ero caduto in bicicletta e il braccio mi faceva male.
  Scrivere con la destra era una pena: lettere storte, scarabocchi, pieghe e pieghine nel foglio. Anche il tempo per scrivere era raddoppiato e facevo fatica a seguire la maestra quando dettava. Se qualche parola mi sfuggiva, lasciavo lo spazio vuoto, così quando ripeteva la frase potevo riempirlo; ma anche così il foglio si riempiva di scarabocchi.
  Ogni tanto, la grande finestra alla mia sinistra veniva aperta per cambiare aria. Un giorno la maestra mi passò di fianco, mi guardò, prese il mio quaderno, lo sfogliò e mi chiese che cosa fossero quei pasticci, il perché di quegli scarabocchi e di quelle pieghe. Disse di non aver mai visto un simile disordine e che era inammissibile che si potesse scrivere così male. Rimasi pietrificato e non dissi una parola, non riuscivo neanche a trovare una scusa.
  Vidi il mio quaderno partire e volare fuori dalla finestra aperta, finendo giù, nel cortile della scuola. Fuori pioveva.
  Quella mattina rimasi in classe prima dietro la lavagna, in punizione, poi dietro la cattedra, in piedi, in modo che tutti mi vedessero. Ero di esempio per ciò che non doveva essere fatto. I miei genitori furono obbligati a comprare un quaderno nuovo e da quel giorno i guai mi accompagnarono non solo a scuola, ma anche a casa. Ero disorientato e non riuscivo a distinguere cosa fosse giusto fare da ciò che non lo era, riuscivo a fare sempre la cosa sbagliata.
  Verso la fine dell’anno si presentò in classe la direttrice della scuola. Era una donna enorme, con un vocione da far paura: sembrava un generale, anche l’insegnante era sull’attenti. Ci disse di aprire il quaderno. Avrebbe fatto un dettato per vedere a che punto eravamo con l’apprendimento. Si raccomandò che scrivessimo esattamente tutto quello che diceva, senza errori.
  Si sedette in cattedra con la maestra in piedi, vicino a lei. Iniziò: «titolo lettera maiuscola La primavera a capo lettera maiuscola Oggi è il primo giorno di primavera punto a capo…» Non riuscivo a starle dietro, era troppo veloce. Avevo perso le parole per strada. Mi bloccai e non andai oltre.
  Avevo voglia di piangere. Mi guardai attorno: i miei compagni continuavano a scrivere, tranquilli. Capii che c’era qualcosa che non andava, che forse avevo capito male, che avevo sbagliato qualcosa, ma non capivo cosa. Quando la maestra vide il mio dettato, trasalì: avevo scritto: “titolo   lettera   maiuscola  la  primavera  a   capo   lettera   maiuscola   oggi  è  il   primo   giorno   di   primavera   punto   a   capo”. Avevo scritto tutto quello che la direttrice dettava, così come aveva chiesto.
   Quell’episodio fece storia.
 Probabilmente il mio quaderno venne citato anche in altra sede. Una cosa simile non si era mai vista a memoria di tutti. Da allora odiai la scuola: ci volle molto tempo perché ritrovassi il piacere di entrare in classe.


Umberto Siboni © 2018
tutti i diritti sono riservati


Condividi il post

Lascia un commento

  Il tuo indirizzo email e il tuo commento non saranno pubblicati.
  * I campi obbligatori sono contrassegnati

 Nome      : *

 E-mail     : *

 Sito web  :

 Commenti: *