I CINQUE PONTI

EMOZIONE

I raggi

Forlì 1960

”photo”

  Non era vero! Era proprio lei! Immaginata e desiderata: la bici nuova! Telaio azzurro, cambio a cinque marce, il migliore che si conoscesse, ruote grandi con i copertoni sottili, bianchi, con il battistrada marrone chiaro. I raggi a doppio diametro leggeri e lucentissimi. Le farfalle d’alluminio al posto dei bulloni, per fissare le ruote. I pedali con la gomma bianca e i catarifrangenti arancioni. Il manubrio stretto e basso. Bella!
  Il sole era alto e si rifletteva nei raggi delle ruote proprio come nei sogni. Il cuore a mille e la voglia di toccarla, di salirci sopra e andare. C’era un solo posto dove poterla provare: al fiume. I margini erano alti, lontani dall’acqua, solcati da sentieri ripidi dove si saliva e si scendeva. Da brivido!
  Con la vecchia bici, piccola e senza cambio, si poteva saltare da una duna all’altra prendendo la rincorsa e sollevandosi da terra. Su e giù, scivolando di lato, alzando la polvere ad ogni frenata.
  Ma la bici nuova non era fatta per saltare su quelle dune. Bella, ma goffa e poco maneggevole. Seconda discesa, frenata in diagonale e tac... per terra! Il cerchione dietro, fuori dal suo asse, era piegato di lato. Alcuni raggi, ancora scintillanti, erano liberi nell’aria, rotti.
  La bici nuova! Come fare per tornare a casa? E cosa dire?
  Le lacrime agli occhi e il cuore spezzato!
  La vecchia bici l’avevo riparata tante volte, sempre di nascosto, usando i ferri di mio padre trovati in cantina. I cerchioni li centravo con una chiave speciale tonda. Si incastrava nei raggi, si stringeva e si allentava fino a quando la ruota tornava a girare nel suo asse, senza tremolii e senza oscillazioni.
  Anche questa volta, sulla duna dell’argine del fiume, con mani, piedi e ginocchia riuscii a raddrizzare il cerchione. I raggi rotti li attorcigliai attorno agli altri ancora sani. La ruota girava di nuovo e potevo pedalare. Il rientro a casa avvenne lentamente, di nascosto, senza una parola. Nascosi la bici e, il giorno dopo, andai dal meccanico, nell’officina all’angolo, che conoscevo bene perché ero spesso da lui: mi procurò i due raggi nuovi senza volere nulla e un pomeriggio silenzioso, in cantina, smontai la ruota, cambiai i raggi rotti e rimontai il tutto. Mia madre scese in cantina ma, per fortuna, mi vide quando la ruota era già sistemata: le dissi che l’avevo smontata per pulirla perché ci tenevo a mantenere la bici sempre pulita e lucente. Mi vedeva spesso trafficare con i ferri e non ci fece caso. La bici ritornò come nuova.
  Con i raggi di nuovo risplendenti al sole, feci il giro del quartiere e provai una grande gioia. La bici andava benissimo. Nessuno si accorse di ciò che era avvenuto al fiume e anche l’amico meccanico tenne la bocca chiusa. Fu la prima volta che riparai un danno senza che i miei lo venissero a sapere. Contento, ma nello stesso tempo, triste.
  Non sopportavo tener nascoste le cose.


Umberto Siboni © 2018
tutti i diritti sono riservati


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