I CINQUE PONTI

EMOZIONE

Il vaso rosso

Forlì 1962

”photo”

  Seconda media. A scuola le cose non andavano proprio bene. Distratto, assente, con la testa per aria. Insomma, «l’ultimo buco della cintura»: queste le parole che sentivo dire dalla professoressa di lettere a mia mamma, quando la mandava a chiamare. A casa le cose non andavano meglio. Per ogni virgola storta, si passava dalle urla alle mani. E questo quasi tutti i giorni.
  Una sera mi ero ridotto a dover preparare all’ultimo momento un disegno a colori da consegnare il giorno dopo. L’insegnante di disegno voleva vedere come lavoravamo a casa: era una signora già in là con gli anni, paziente, che infondeva pace e serenità durante le due ore settimanali che trascorreva con noi.
  Ma quella sera i problemi non mancavano. La matita dove era? E i colori? Il foglio era di mia sorella, ma dei colori a tempera trovai solo un tubetto bianco, uno nero e uno rosso; gli altri colori erano inutilizzabili perché completamente secchi. Il tema era una copia dal vero, una natura morta composta con oggetti recuperati in casa.
  In camera mia c’era un vaso appoggiato su una mensola. In cucina trovai una mela tutta bacata che veniva dal melo del nostro orto. Le mele erano sì bacate, ma molto buone. Mio padre continuava a trattare le piante con prodotti diversi tanto da cambiare colore ai tronchi e alle foglie; i tronchi erano diventati bianchi e le foglie blu, ma i bachi erano sempre presenti: non c’era nulla da fare.
  Fuori imbruniva, accesi la lampada sul comodino e sdraiato sul letto, iniziai a disegnare. Non era difficile: un po’ di prospettiva, la mela davanti al vaso un po’ di lato, e i contorni del ripiano in basso per dare il senso dello spazio. In cucina mi procurai un piattino per mescolare i colori, un bicchiere pieno d’acqua per diluirli e per pulire l’unico pennellino trovato.
  Era ormai notte fonda quando decisi che il disegno era finito. Tutto pieno di sfumature: dal bianco al rosso e dal rosso al nero. Scrissi il mio nome con il colore nero in basso, sulla destra, e mi addormentai.
  Il giorno seguente ci fu la consegna. Vidi i lavori dei miei compagni, tutti pieni di colori. Il più bravo della classe aveva consegnato una natura morta che poteva essere incorniciata, talmente era bella: uva, mele, pesche e, appoggiati su un pizzo, un fiasco e un bicchiere con un po' di vino. Quando consegnai il mio, l’insegnante, la signora Rossi, mi guardò sorpresa. Mi chiese solo: «L’hai fatto tu?».
  A fine anno, nell’albergo più importante della città, in pieno centro, venivano esposti i lavori più significativi di quell’anno scolastico: disegni e dipinti. Erano presenti tutte le scuole della città, anche le scuole superiori. Ci andai in bicicletta, la cosa mi incuriosiva.
  Le pareti dei corridoi erano tappezzate con i lavori più belli, era come essere in una galleria d’arte. Cercai i lavori del mio compagno di classe. Li trovai e rimasi in ammirazione: erano veramente belli.
  Più avanti c’erano i lavori dei liceali e in mezzo un quadretto con una natura morta, un vaso e una mela, tutto rosso, incorniciato.
  Incontrai l’insegnante di disegno, mi prese da parte e, commossa, mi chiese di poter tenere per sé il quadretto rosso. Mi disse che era il lavoro che l’aveva colpita di più.
  Sapere che lo voleva per sé, mi riempì di gioia.


Umberto Siboni © 2018
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