I CINQUE PONTI

EMOZIONE

La patente

Forlì 1968

”photo”

  In cinque sul bordo del marciapiede. Tutti convocati alle nove di mattina davanti a una palazzina di un solo piano, vicino alla stazione. Si aspettava la Fiat 600 bianca con a bordo l’istruttore e l’esaminatore per fare l’esame pratico di scuola guida.
  Gli sguardi si incrociavano, ma nessuno aveva voglia di parlare. Si sapeva che l’esaminatore era un tipo burbero, di poche parole, capace di mandarti a casa per una sciocchezza. L’esame dipendeva dalla sua luna e anche dalla fortuna. Ma in quel momento nessuno fiatava: tutti concentrati per quello che di lì a poco sarebbe capitato.
  Arrivò la 600 e il primo della lista venne invitato a prendere la guida. Dopo trenta minuti fece ritorno, scese con il volto stravolto, ma fece capire che era andato bene. Era il turno di una signora di mezza età. Nell’attesa disse che era la terza volta che tentava. Tornò dopo quaranta minuti. Era raggiante.
  Con un gesto l’istruttore mi fece segno di salire e presi posto.
  L’istruttore era seduto di fianco e l’esaminatore dietro.
  «Vada, alla rotonda e poi giri a sinistra» sentii dire alle mie spalle. La rotonda era davanti alla stazione a cinquanta metri e a sinistra iniziava un lungo viale alberato a tre corsie. Presi la corsia centrale.
  «Posteggi sulla destra, tra quelle due macchine» disse l’esaminatore dopo neanche cento metri. Il posteggio era giusto per una 600 e lo feci senza problemi.
  «Spenga il motore e scenda». Non capivo.
  «Scenda!» disse per la seconda volta con tono irritato.
  Scesi: l’istruttore prese la guida e si allontanarono. Percorsi in tutto sì e no duecento metri. Il mio cervello era come impazzito, cercava freneticamente dove fosse avvenuto l’errore. Le frecce? Il cambio? Le mani sul volante? Lo specchietto retrovisore? E perché mi aveva fatto scendere lì?
  La bicicletta era posteggiata di fianco alla stazione. Tornare a casa? No! Qual era il verdetto e perché? Tornai a piedi davanti alla palazzina da dove eravamo partiti. C’era l’ultimo dei cinque ad aspettare il suo turno. Nel frattempo, quello dopo di me era già sulla 600. Tornò dopo una ventina di minuti. Promosso. Salì l’ultimo e partì subito.
  Rimasi ad attendere come un automa. Attorno non c’era più nessuno. Il tempo si era fermato. La 600 tornò. L’ultimo candidato scese dall’auto. Anche per lui l’esame era andato bene. Scese anche l’istruttore, si avvicinò guardandomi perplesso.
  «Cosa fai qui? Vai a casa, la patente ce l’hai, sei andato benissimo!»
  Lo salutai, presi la bicicletta e tornai a casa pedalando così velocemente che più forte non avrei potuto!


Umberto Siboni © 2018
tutti i diritti sono riservati


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