I CINQUE PONTI

COSCIENZA

Il ribelle

Forlì 1956

”photo”

  Per l’occasione arrivò lo zio di Verona con la sua Fiat 600 color crema. Era il fratello di mia madre. Uomo pacato, ragioniere, sempre gentile. Non l’avevo mai sentito alzare la voce; si era appena sposato, ma la moglie era rimasta a casa. Aveva portato, come regalo, una scatoletta con dentro un cucchiaio, una forchetta, un coltello e un porta-tovaglioli d’argento. Era il giorno della mia Prima Comunione e della Cresima. A quei tempi i due Sacramenti venivano amministrati lo stesso giorno durante la stessa celebrazione.
  Per l’occasione mi avevano bardato a festa: giacca e pantaloncini corti azzurri, camicia e cravattina bianca, calze e scarpe bianche, sulla manica sinistra un nastro con un gran fiocco bianco.
  La preparazione alla Prima Comunione era iniziata ad ottobre e avrebbe dovuto essere l’evento che mi allontanava dall’infanzia e che doveva farmi entrare nell’età della ragione: frequentavo la seconda elementare. Non lo dicevano solo in casa: anche le due suore che mi avevano accompagnato in quei mesi continuavano a ripetere che da quel momento tutti noi avremmo avuto la capacità di intendere e di volere. La formula era chiara: «Io chiedo di ricevere il dono della Cresima perché desidero che lo Spirito Santo mi accompagni in ogni scelta della mia vita». Durante quel periodo, venne a trovarmi un cugino che era molto più grande di me. Parlava con mia mamma e con mio padre di queste cose e, rivolgendosi a me, disse quasi per scherzo: «Adesso finalmente sai perché devi obbedire ai tuoi genitori!».
  A celebrare i due Sacramenti era presente il Vescovo.
  La funzione durò un paio d’ore. Dovevamo essere a casa per mezzogiorno.
  Ero tutto pieno di entusiasmo per l’avvenimento. Adesso ero diventato finalmente grande. La mia vita era a una svolta e potevo parlare anche con i miei genitori come facevano gli adulti tra di loro. Ci si doveva rispettare e dovevano ascoltarmi.
  Tornati a casa, mi dissero che per il pranzo bisognava attendere ancora una decina di minuti. Vestito ancora di tutto punto, in preda all’euforia del momento, inforcai la bici e feci a tutta velocità il giro del quartiere. Feci il giro grande; non mi accorsi che il tempo correva insieme a me. Quando tornai, ad attendermi fuori dal cancello c’erano mia madre e mia sorella che mi cercavano preoccupate, chiedendosi dove fossi finito. Ero partito senza avvisare nessuno. Sotto gli occhi di mio zio attonito, le presi sia da mia madre sia da mio padre. Mia sorella, di due anni maggiore di me, restò in silenzio: conosceva anche lei molto bene questa usanza, frequente in casa nostra.
  Mi ero fatto delle illusioni: tutto il mondo legato alla Cresima e alla Prima Comunione crollò in un istante. La vita era tornata uguale a prima, ma con una pretesa in più nei miei confronti: la capacità di intendere e volere voleva dire intendere il volere dei miei genitori. L’obbedienza doveva diventare una regola. Lo schiaffo, che il Vescovo dava di rito, ne era la prova.
  Fu così che dentro di me maturò un sentimento che non avevo provato prima, ma che aveva un nome: ribellione. Piuttosto che sottomettermi a quel volere senza condizioni, preferii essere trattato come il ribelle. E fu dura.


Umberto Siboni © 2018
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