I CINQUE PONTI

COSCIENZA

Paolo e Francesca

Forlì 1964

”photo”

  L’amore, nella vita dell’uomo, è il tema più discusso. Ma è anche il tema su cui si è fatta più confusione. Quando ero bambino l’amore era solo quello dei genitori e quello di Dio. A scuola era il sentimento che univa l’uomo alla sua donna, il soldato alla sua patria, l’operaio al suo lavoro ed era all’origine di quasi tutte le opere letterarie e artistiche. Fuori dalla scuola e dalla famiglia, era solo far sesso. La confusione nasceva perché ognuno di questi ambiti rivendicava la paternità del termine: sfogliando il dizionario dei sinonimi e dei contrari si trovano paginate di definizioni.
  Quello che invece trovai più interessante fu fare un passo indietro nel tempo e ricordare in che occasione la parola amore mi aveva colpito per la prima volta.
  Fu in preparazione dell’esame d’italiano per la licenza media: avevo deciso di approfondire e presentare il quinto canto dell’Inferno di Dante, dove è raccontata la triste vicenda amorosa tra Paolo e Francesca, conclusasi in tragedia. Quel canto l’avevo imparato a memoria. Il verso centotre magnetizzava la mia attenzione.
  «Amor, ch’a nullo amato amar perdona»: sei parole nella bocca di Francesca che dell’amore dicevano tutto e che, nello stesso tempo, lo negavano.
  Cupido lancia la sua freccia nel cuore di Francesca. La passione la travolge e la getta nelle braccia di un altro uomo. All’amore non si può resistere: capiti quel che capiti. Non c’è ragione che tenga, la libertà è annullata e tutto è perdonato.
  Ero stravolto, quell’immagine dell’amore mi terrorizzava; l’uomo libero dotato di ragione, veniva travolto e annullato dalla passione.
  Quello che Dante ha raccontato lo si poteva verificare facilmente nella realtà. Capitava proprio così anche se, nella maggioranza dei casi, quelle storie non finivano in tragedia, come invece avvenne per Paolo e Francesca.
  Il turbamento che mi prese mi tenne lontano da ogni approccio di quel tipo. Quando una ragazza mi si avvicinava e intuivo vi fosse un secondo fine, pur avvertendo l’attrazione nei suoi confronti, mi allontanavo. Quella che io chiamavo timidezza, in realtà, nascondeva una profonda paura. La paura di perdere per sempre la mia libertà e l’uso della ragione. L’amore non poteva essere solo quello.
  L’amore, quello vero, lo incontrai anni dopo. Erano sì presenti l’emozione, il sentimento, il desiderio, la passione, ma anche la coscienza, la ragione e l’intelletto: la capacità cioè di distinguere e di volere. Da quell’amore non mi staccai più perché era fatto per accompagnarmi tutta la vita, verso il destino.
  Ma c’è una cosa importante che a questo punto devo avere il coraggio di dire e per farlo uso il testo di una canzone scritta da un amico.

  “La Ballata dell’amore vero” di Claudio Chieffo.

  “Io vorrei volerti bene, come ti ama Dio
  Con la stessa passione, con la stessa forza, con la stessa fedeltà che non ho io
  ….......
  Io ti voglio bene e ne ringrazio Dio
  Che mi dà la tenerezza, che mi dà la forza, che mi dà la libertà che non ho io”


  È un altro modo di vivere l’amore ed è un altro modo di concepire la libertà e la tenerezza. L’uomo, con la sua intelligenza, può scegliere.


Umberto Siboni © 2018
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