I CINQUE PONTI

RAGIONE

André Frossard

Lugano 12.11.1983

”photo”

  Era un’occasione assolutamente da non perdere. C’era in programma, in città, una conferenza con André Frossard.
  Giornalista, venne alla ribalta dopo la pubblicazione del suo libro “Dio esiste. Io l’ho incontrato”. Il libro, dopo una lunga premessa per giustificare le ragioni della sua scelta atea, racconta l’avvenimento che gli avrebbe cambiato la vita.
  Aveva un amico e collega con il quale, ogni mattina, percorreva un lungo viale che li conduceva al lavoro. Il suo amico era credente e, strada facendo, entrava in una chiesa per un momento di raccoglimento, prima di andare al lavoro. André lo aspettava fuori perché non condivideva le sue idee legate alla sua fede in Dio: non c’era una ragione valida per spingerlo ad entrare in quella chiesa.
  Una mattina, questo suo amico si trattenne più del solito e, incuriosito per il ritardo, entrò in chiesa per cercarlo. Fu in quel momento che avvenne il fatto. Posando lo sguardo sulla fiamma della seconda candela alla sinistra del crocifisso, venne come fulminato da quel bagliore e in un attimo la sua vita cambiò. Da quel momento si dichiarò credente e cattolico romano. Un’ illuminazione che gli aveva dato il dono della fede in Dio.
  Come mancare all’incontro con quell’uomo che diceva di essersi convertito in seguito a quel fatto?
  La sala era gremita fino all’ultimo posto. C’era un moderatore e, di fianco a lui, André Frossard.
  La conferenza era in lingua francese; la capivo grazie a quei pochi anni trascorsi a Friborgo.
  Ascoltai ogni parola del suo racconto e anche le risposte date nel dibattito che ne seguì. Aveva appena pubblicato “Non abbiate paura! Dialogo con Giovanni Paolo II”. Ai presenti in sala interessava di più la conversazione avuta con il Papa piuttosto che la sua conversione e finì che si parlò solo del suo incontro con Giovanni Paolo II.
  Uscii dalla conferenza con un sacco di domande sulla vita di Frossard: le risposte erano state poche. La conversione come aveva cambiato la sua vita? Che cosa era avvenuto nel suo quotidiano, nel rapporto con sua moglie?
  Non avevo pace. Dovevo incontrarlo e fargli quelle domande. Non ricordo come, ma ebbi il nome dell’albergo dove alloggiava. Il mattino seguente, verso le dieci, lo chiamai al telefono. Fu gentilissimo e meravigliato. Ci demmo appuntamento. Il tempo di raggiungere l’albergo.
  Mi aspettava e ci sedemmo sulle comode poltrone della hall.
  Capì subito che non ero un giornalista e questo lo mise a suo agio. Disse che, facendo come mestiere il giornalista, non gli piaceva essere intervistato dai suoi colleghi, che gli ponevano sempre solo domande banali.
  La conversazione, in francese, durò circa quaranta minuti. Alle mie domande rispose con precisione e accuratezza di particolari. Si dispiacque di non aver parlato di queste cose la sera prima, durante la conferenza. Capiva che erano importanti e avrebbero dato un taglio diverso alla serata.
  Avevo portato con me il suo ultimo libro, scrisse una dedica e ci salutammo.
  Tempo dopo, ripensando a quell’incontro, ne capii l’importanza. Avevo vinto una resistenza dentro di me che mi bloccava. Una sorta di paura, di timidezza. Potevo finalmente avvicinarmi a situazioni e a persone senza il classico timore reverenziale. Mi sono ritrovato con una marcia in più: una nuova possibilità. Avevo vinto il rispetto umano.


Umberto Siboni © 2018
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