I CINQUE PONTI

Epilogo

Breganzona 2018

  All’albore di questo secolo sembrava forte il desiderio di dare una svolta ai problemi di questo mondo, ma le torri gemelle nel 2001 ci hanno immediatamente rigettati con la faccia per terra. Ciò che doveva essere vecchio ce lo siamo ritrovato addosso e i problemi sono rimasti gli stessi di prima. Il sogno di un’Europa forte e unita, unico risultato della politica del secolo scorso, si è andato lentamente sgretolando sotto i nostri occhi. L’uomo è sempre lo stesso: diviso, confuso, senza più valori a cui riferirsi. I pochi che restano sembrano obsoleti e non più in grado di far fronte alla realtà. La forza persuasiva delle ideologie è tramontata sotto i colpi del terrorismo e degli effetti devastanti dell’economia e delle continue guerre. Ci si è illusi che la libertà individuale, finalmente raggiunta, potesse essere una garanzia valida per il nostro operare. Ai grandi problemi ci pensa la politica mentre noi, forse, possiamo scegliere liberamente la strada più breve per andare al lavoro.
  Il tempo libero è tutto a nostra disposizione, dal cinema al supermercato, dove possiamo trovare tutto, basta non avere esigenze particolari. Possiamo visitare i musei e passeggiare lungo i viali dove incrociamo tanta gente.
  In biblioteca e in chiesa non ci va più nessuno, cose del passato, basta avere il collegamento a Internet e si è in contatto con tutto e con tutti. L’importante è che nessuno ci fermi per strada: dà fastidio. La nostra isola di indipendenza non deve essere né corrotta né calpestata. Gli altri, il massimo che possono fare è guardarci così come noi guardiamo loro, ma non bisogna andare oltre. Quando c’è un avvenimento nel mondo e bisogna discuterne, basta accendere la televisione: una schiera di giornalisti, di intellettuali lo fanno per noi dalla mattina alla sera, gli argomenti non mancano.
  Non ci accorgiamo di come i meccanismi del potere controllino, senza soluzione di continuità, la vita del mondo. E quando ci accorgiamo di queste cose, tutto fa paura. I più cinici vedono in un nuovo conflitto mondiale la sola possibilità per ricominciare tutto da capo. Fare tabula rasa e riscrivere il mondo partendo da zero. Poveri illusi. Difficilmente vedranno la fenice risorgere dalle proprie ceneri. Gli indifferenti pensano di salvare la propria vita continuando a tenere la testa sotto la sabbia e non capiscono che così sono solo dei sepolti vivi e finiscono con diventare burattini in mano altrui.
  Anche nel nostro contemporaneo sono comunque rimasti dei segni che ci possono aiutare a ritrovare la strada per capire quanto sia importante l’unità della propria persona con la realtà del mondo.   Questi segni li ho letti in ogni persona che ho incontrato: sono talmente elementari che appartengono a tutti. Sono stati impolverati, infangati, stravolti, mistificati, dimenticati, censurati dalla cultura del potere, ma sono rimasti, e questa è la sola ragione che mi ha mosso a scrivere questo testo.
  Per descriverli sono partito dalla mia esperienza personale con le sue contraddizioni, i suoi aspetti positivi e a volte anche quelli negativi. Esperienza che per molti aspetti è simile a quella di tanti altri. Ci si può riconoscere oppure no: la storia è diversa per ognuno di noi, ma in tutte le storie sono presenti i segni che ci accomunano.
  Li ho chiamati i cinque ponti.
  L’emozione, il sentimento, la coscienza, la ragione e l’intelletto sono questi ponti: sono gli elementi che ci costituiscono e che determinano la nostra personalità.
  L’esperienza insegna che quando uno di questi ponti viene eliminato, l’uomo inizia a zoppicare. Quando se ne prende in considerazione solo uno o due, la persona soffoca e si riduce, si aliena.
  Ci sono le persone emotive, quelle sentimentali, quelle consapevoli, quelle ragionevoli, quelle intelligenti: etichette che amiamo incollarci addosso tra amici, tra parenti, tra colleghi, ma tutte finiscono col ridurre l’altro in pezzi.
  I cinque ponti si congiungono nel cuore dell’uomo e costituiscono il punto di partenza per affrontare ogni nuova esperienza sia affettiva, sia professionale, sia di ordine politico o religioso.

  Ci sono altre componenti che definiscono l’uomo: l’età, la lingua madre, il sesso, l’altezza, il peso, il colore degli occhi, della pelle e dei capelli, ma definiscono la persona solo per riconoscerla in quanto toccano solo la superficie.

  C’è la salute del corpo e quella dell’anima. Il dolore, per sua natura, non è condivisibile: è presente nel corpo e quando è possibile, lo si può lenire con i farmaci giusti. La sofferenza, che nasce dal dolore del corpo e dalle vicende della vita, è legata all’anima, all’ io: la si può condividere con le persone care. Può essere lenita con l’amicizia, la compagnia, l’interesse, la vicinanza, l’affetto, l’amore. Quando una persona cara ci lascia, abbiamo bisogno sia di restare soli sia di essere circondati dai propri cari. Restare soli per elaborare il lutto, ed essere circondati dai propri cari per condividere la sofferenza, per rendere il dolore della perdita più sopportabile. Anche in questo caso si esperimenta come sia importante e decisiva l’unità dei cinque ponti: sono interdipendenti e si cercano in ogni situazione. A volte prevale l’uno, a volte l’altro, ma cercano sempre il contatto tra di loro. Diventano i ponti che conducono alla conoscenza di sé e del mondo.

  Chi si perde è chi si è allontanato dall’io e non vede più in sé e nella propria memoria nessuna possibilità per dare senso al reale. Il reale e la memoria sono staccati l’uno dall’altra e non possono più riconoscere un avvenimento: quando sono separati, nulla avviene.

  «La conoscenza porta alla verità e la verità ci rende liberi», dice San Paolo.

  La conoscenza dell’io è il punto di partenza per la conoscenza di tutto. Conoscere sé stessi apre le porte all’altro e offre la possibilità di incontrare quel Tu di cui avvertiamo tanto il bisogno. C’è chi può starci vicino anche nel fondo del nostro abisso e può accompagnarci in tutti gli avvenimenti della vita, belli o brutti che siano.


  Quel Tu che desideriamo incontrare e conoscere chiede solo che gli apriamo la nostra porta e lo lasciamo entrare nel nostro cuore.
  È solo nel rapporto con un’altra persona o con un insieme di persone che matura la conoscenza. Questo rapporto va oltre il tempo legato alla formazione scolastica: continua tutta la vita sia in famiglia, sia all’interno della vita professionale, sia nel quartiere dove uno vive o nella parrocchia che frequenta.
  Quando quel Tu manca, ha poco senso lamentarsi, e la sua presenza non può essere sostituita restando ore davanti alla tele, sperando in una corrispondenza che in realtà è impossibile. Occorre cercare e incontrare chi ci può essere di compagnia lungo il cammino della nostra vita. Persone reali, fatte di carne e ossa, che ti guardano negli occhi, che ti sorridono o che ti richiamano.
  La conoscenza non può essere mai sottintesa, mai messa da parte, mai dimenticata, mai tradita, mai ostacolata. A volte è in salita e a volte ci concede una tregua. È la strada che porta a realizzare il desiderio più grande, possibile all’uomo: il desiderio di felicità.
  Normalmente, quando si conclude un testo, si pensa che il discorso sia esaurito. In realtà sono convinto che in questo caso sia solo un punto di partenza. È la base necessaria per dire altro, per affrontare la quotidianità, il presente, il reale. È un lavoro continuo che non ammette soste perché fermarsi significa restare indietro: la vita scade allora nella lamentela, e gli avvenimenti del presente sfuggono via e non si capiscono più. Ci si può rifugiare nel passato, ma è una magra consolazione. La memoria del passato e l’attenzione al presente vanno di pari passo. L’uomo nuovo di cui parla San Paolo ha bisogno in ogni momento di conoscere la realtà che lo circonda, nei confronti della quale rivendica non la schiavitù, ma la libertà.


Umberto Siboni © 2018
tutti i diritti sono riservati


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