RACCONTI

Quella chiesa sconsacrata

8 settembre 2019

”photo”

  A Forlì avevo diversi amici. Erano gli anni in cui frequentavo le scuole superiori e ogni tanto ci si trovava per parlare dei nostri interessi e dei nostri problemi, condividendo i nostri pensieri sugli avvenimenti che ogni giorno ci coinvolgevano. Alcuni amici abitavano nella parte vecchia della città e, tornando a casa in bicicletta, passavo davanti a quella chiesa che di chiesa non aveva più nulla: era stata sconsacrata e adibita a magazzino.
  Risalente al XIII secolo, da duecento anni la chiesa di San Giacomo non era più praticata ed era inesorabilmente destinata alla rovina. La facciata non era mai stata terminata e i mattoni rossi spuntavano dal muro intercalati tra di loro in file orizzontali. Le finestre laterali, strette ed allungate verso l’alto, erano state murate, alcune con mattoni, altre con pannelli, in modo da nascondere l’interno. Anche l’entrata era stata resa inaccessibile con assi da cantiere tenute salde da una catena con un lucchetto.
  La chiesa faceva parte dei beni culturali della città. La giunta comunale stava pensando di farne un teatro cittadino.
  Per me quella costruzione era diventata un simbolo. Di sacro non rimaneva più nessuna traccia: anche le croci esterne erano state tolte, ma la forma dell’edificio non poteva essere altro che quella di una chiesa.
  In quegli anni, quando si parlava dei paesi dell’Est, si faceva riferimento al potere che l’Unione Sovietica esercitava sui governi locali. Le chiese erano state quasi tutte sconsacrate e i cristiani allontanati e ridotti al silenzio. Chi voleva restare tale doveva far riferimento al valore più importante, cioè ricondurre la propria fede all’essenziale, abbandonando tutte le forme legate alla tradizione perché erano di fatto impraticabili. All’interno delle città i simboli cristiani erano stati eliminati e sostituiti da altri che avevano nel marxismo il loro riferimento. Chi si dichiarava cristiano non lo era certo perché legato alla tradizione, ma per una scelta personale ben precisa. L’unica tradizione sopravvissuta si giocava nel rapporto tra le persone, il solo capace di risvegliare i cuori. Uomini e donne si riconoscevano ricordando e vivendo la memoria dell’essenziale: la persona di Gesù Cristo che, accolta nel proprio cuore, era l’unica possibilità per restare uomini liberi, pronti a sopportare le persecuzioni inflitte dal regime.
  Tra queste persone c’erano anche degli intellettuali che mantenevano il collegamento con i cristiani dell’Europa occidentale. Ne avevo conosciuti alcuni e con loro si era instaurato un buon rapporto: parlavano benissimo l’italiano e ogni tanto ci si incontrava.
  Ricordo un viaggio con due amici di Forlì, marito e moglie, a bordo di una Fiat 600, nella Jugoslavia di Tito. Avevamo con noi beni di prima necessità che in loco non si trovavano, in particolare medicinali, che avremmo dovuto consegnare a un professore di Zagabria. La polizia di stato era onnipresente e controllava tutti gli spostamenti di queste persone. Ricordo di aver suonato un pianoforte nell’appartamento di questo professore per un’ora, simulando una lezione di piano, coprendolo mentre si assentava per consegnare i medicinali che avevamo portato. Era uscito passando da una porta secondaria dietro al palazzo, per evitare di essere visto da un agente in borghese che lo stava controllando: lo avevamo notato dalla finestra, in strada, probabilmente incuriosito e insospettito dal nostro arrivo. Camminava avanti e indietro in modo da essere ben notato. Probabilmente anche noi correvamo dei rischi e la vera ragione della nostra presenza doveva rimanere nascosta, pena la prigione: questo professore era già nel mirino delle autorità. Ci fece poi sapere che, dopo la nostra partenza, non capitò nulla di conseguente alla nostra visita.
  A Forlì, politicamente in mano alla sinistra, la cui matrice era fortemente anticlericale, la vita non raggiungeva la drammaticità presente nei paesi dell’Est. Non mancavano comunque le pressioni. Queste si manifestavano innanzitutto nelle scuole, dove il solo accennare all’esperienza religiosa elementare significava essere catalogato come non progressista, ottuso e fuori dal tempo. Ricordo discussioni interminabili con la professoressa di lettere. Sua intenzione era chiaramente quella di farmi cambiare opinione come se il cristianesimo fosse solo un’idea su cui si poteva essere o non essere d’accordo.
  Non capiva la differenza tra “cristianesimo”, legato a un’esperienza di vita reale, e “cristianismo”, legato solo alla dottrina cattolica.
   Per le vie cittadine era sempre presente la motoretta Ape, quella con tre ruote, sulla quale era montato un megafono che proponeva in continuazione inni come “Bandiera rossa” e discorsi dei leader comunisti più conosciuti come Togliatti e letture tratte dai testi di Marx e Lenin.
  Con la caduta del muro di Berlino tante cose cambiarono.
  La democrazia prese piede in Polonia, in Romania, in Cechia, in Slovacchia; nacquero nuovi stati e ovunque si iniziò a respirare l’aria della nuova libertà, quella legata al modello occidentale.
  Anche oggi respiriamo tutti quest’aria e, oltre alle possibilità che offre, ne avvertiamo anche i limiti. Le garanzie della nuova libertà sono mutevoli e non dipendono ultimamente né da noi né dalla nostra storia.
  Che ne è stato della chiesa sconsacrata di Forlì, cinquant’anni dopo?
  Attraversando diverse peripezie, compreso il crollo della volta nel 1978, la chiesa di San Giacomo è stata interamente restaurata: dal giugno 2015 è tornata fruibile come Auditorium e può ospitare più di 4000 persone.
  A me però piace ricordarla come la chiesa dell’essenzialità.
  “Ricondurre tutto all’essenziale, ovvero fare memoria del punto originario.” Questa è la frase che sento più vicina alla mia storia e che mi aiuta a distinguere le cose utili da quelle superflue. Vale nella vita di ogni giorno come anche nell’esperienza di fede.
  È vero, sì, sono molto duro nei confronti della tradizione. Quella che sento vera, e che penso sia la grande Tradizione della Chiesa, descrive nei secoli la trasmissione della fede in Gesù Cristo attraverso gli uomini che hanno testimoniato le parole del Vangelo con la propria vita. La mia adesione a Cristo non è avvenuta perché c’erano delle belle chiese, delle cerimonie spesso plateali, delle prediche piene di belle parole, delle processioni programmate con canti di gioia. Queste cose le ho sempre cordialmente evitate pur vedendo persone, anche molto vicine a me, che invece provavano verso queste manifestazioni tradizionali, legate spesso ad una cultura locale, emozioni e sentimenti positivi.
  La chiesa sconsacrata di Forlì mi ricorda che occorre andare oltre la facciata, che l’uomo ha uno spessore e un valore che vanno oltre i gesti che compie, le parole che dice, la simpatia o l’antipatia che suscita: vale per me, vale per chi mi è vicino e vale anche per quella persona sconosciuta che mi scivola accanto al supermercato.


Umberto Siboni © 2019
tutti i diritti sono riservati


Condividi il post

Lascia un commento

  Il tuo indirizzo email e il tuo commento non saranno pubblicati.
  * I campi obbligatori sono contrassegnati

 Nome      : *

 E-mail     : *

 Sito web  :

 Commenti: *